Eco system, virtual museum
Silvia Giamberini | Diritti riservati

L'ecosistema

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L’ecologia studia l’insieme delle relazioni fra gli organismi viventi e tra gli organismi e l’ambiente. All’interno di questa disciplina, uno dei concetti più importanti è quello di ecosistema. Proposto nel 1935 dall’ecologo inglese Arthur Tansley, l’ecosistema considera gli organismi viventi e le variabili fisiche, chimiche e geologiche dell’ambiente come un unico sistema interagente.
Il concetto di ecosistema ha portato con sé un nuovo modo di avvicinarsi allo studio della natura.

Vista la diversità della vita all'interno di un ecosistema, una prospettiva unicamente classificatoria delle specie lascia spazio a un approccio più funzionale alla comprensione dei processi naturali. La prospettiva di un ecologo che studia gli ecosistemi è quindi ampia e sistemica, in cui il confine tra l’energia e la materia è più sfocato e l’insieme delle relazioni e delle interazioni diventa il centro dell’attenzione.

Flussi di energia

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L’approccio ecosistemico si basa sulle interazioni tra organismi viventi ed elementi non viventi (come acqua, aria, suolo, sedimenti, materia organica e minerale, che sono definite componenti abiotiche). L’aspetto dimensionale diventa allora poco importante. Ci possono essere ecosistemi molto piccoli, come uno stagno o una radura, e altri di grandi dimensioni, come foreste boreali o savane. Quello che conta è come l’energia entra ed è sfruttata dai viventi, e come invece le componenti abiotiche entrano nel complesso ciclo biogeochimico messo in azione dall’energia stessa, che coinvolge sia componenti viventi sia non viventi.

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Nella stragrande maggioranza degli ecosistemi terrestri la fonte di energia è la radiazione elettromagnetica proveniente dal Sole. Una delle intuizioni dell’ecologo statunitense Raymond Lindeman (all’inizio degli anni ’40 del secolo scorso) è stata quella di classificare gli organismi all’interno di un ecosistema in classi funzionali. Gli organismi che intercettano e utilizzano le radiazioni del Sole sono definiti produttori primari, e sono caratterizzati dalla capacità di effettuare la fotosintesi, cioè la trasformazione di molecole semplici (anidride carbonica e acqua) in sostanze più complesse, come gli zuccheri.

Schema che mette a confronto gli organismi autotrofi, o produttori (ad esempio piante) in grado di produrre le sostanze nutritive (zuccheri) per il proprio fabbisogno energetico tramite la fotosintesi, con gli organismi eterotrofi, o consumatori (ad esempio gli animali) che invece ricavano energia nutrendosi della materia organica di altri organismi.

Schema che mette a confronto gli organismi autotrofi, o produttori (ad esempio piante) in grado di produrre le sostanze nutritive (zuccheri) per il proprio fabbisogno energetico tramite la fotosintesi, con gli organismi eterotrofi, o consumatori (ad esempio gli animali) che invece ricavano energia nutrendosi della materia organica di altri organismi.

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Nei produttori primari rientrano specie molto differenti sia anatomicamente sia dal punto di vista del metabolismo. Troviamo organismi come i cianobatteri (procarioti in gran parte marini) o alghe unicellulari, ma anche forme di vita più complesse che popolano la terraferma come le Gimnosperme (conifere), le Angiosperme (piante a fiore), oppure felci o muschi. 

Grazie alla presenza di molecole in grado di intercettare e sfruttare la radiazione solare, come le clorofille, le specie di questo gruppo funzionale sono definite autotrofe, cioè in grado di produrre da sé il cibo.

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Gli autotrofi introducono nell’ecosistema molecole ricche di energia, che diventano quindi a disposizione anche dei cosiddetti consumatori primari, come gli erbivori che si nutrono dei vegetali o lo zooplancton marino. Poiché sfruttano la materia organica prodotta dagli autotrofi, gli organismi di questo livello sono chiamati eterotrofi.

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A loro volta i consumatori primari sono fonte di cibo per altre specie, i consumatori secondari. Anche in questo caso, si va da animali strutturalmente piuttosto semplici come gli cnidari (meduse e coralli) a mammiferi, uccelli, rettili e pesci, in un insieme di relazioni complesse e interlacciate che formano la “rete trofica” di un ecosistema.

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Ma questa rete non potrebbe sopravvivere se non ci fossero anche organismi in grado di utilizzare la sostanza organica morta o prodotta dal metabolismo degli altri organismi. La componente eterotrofa dell'ecosistema può essere allora suddivisa in due sottosistemi: consumatori e decompositori. I consumatori si nutrono principalmente di tessuto vivente e i decompositori scompongono la materia morta in sostanze inorganiche, restituendole all’ambiente. La materia organica morta su cui agiscono i decompositori è quindi cruciale per i cicli di nutrienti nell'ecosistema.

Schema che illustra le relazioni tra gli elementi della catena trofica in un ecosistema: l’energia che arriva dal sole viene usata dai produttori attraverso la fotosintesi, insieme con acqua e nutrienti minerali presenti nel suolo. La materia organica prodotta viene consumata dagli eterotrofi erbivori, a loro volta nutrimento per i carnivori, ed entrambi una volta morti nutrimento per gli organismi decompositori. Questi ultimi liberano i nutrienti nel suolo rendendoli nuovamente disponibili ai produttori affinché il ciclo ricominci.

Schema che illustra le relazioni tra gli elementi della catena trofica in un ecosistema: l’energia che arriva dal sole viene usata dai produttori attraverso la fotosintesi, insieme con acqua e nutrienti minerali presenti nel suolo. La materia organica prodotta viene consumata dagli eterotrofi erbivori, a loro volta nutrimento per i carnivori, ed entrambi una volta morti nutrimento per gli organismi decompositori. Questi ultimi liberano i nutrienti nel suolo rendendoli nuovamente disponibili ai produttori affinché il ciclo ricominci.

La percentuale dell’energia che passa dal livello degli autotrofi a quello degli eterotrofi non è mai il 100%. In parte questa energia si disperde sotto forma di calore, in parte è utilizzata dagli organismi stessi per mantenere la struttura e il metabolismo del corpo; gli animali omeotermi (Mammiferi e Uccelli) “spendono” molta energia per mantenere costante la loro temperatura corporea. Così la percentuale di energia che passa da un livello all’altro è molto variabile, e può andare da 2 al 24%, a seconda dellle specie coinvolte.

Schema a piramide che indica come a partire dal livello di base dei produttori (o autotrofi), il trasferimento di energia vada via via a diminuire nei livelli superiori occupati dai consumatori. Ad ogni livello aumenta la dispersione dell’energia rilasciata sotto forma di calore o trattenuta per mantenere una temperatura corporea costante come negli animali omeotermi (Uccelli e Mammiferi).

Schema a piramide che indica come a partire dal livello di base dei produttori (o autotrofi), il trasferimento di energia vada via via a diminuire nei livelli superiori occupati dai consumatori. Ad ogni livello aumenta la dispersione dell’energia rilasciata sotto forma di calore o trattenuta per mantenere una temperatura corporea costante come negli animali omeotermi (Uccelli e Mammiferi).

Cicli biogeochimici

Nel funzionamento degli ecosistemi, le componenti minerali sono continuamente riciclate e passano senza sosta dalle componenti abiotiche a quelle biotiche. Pertanto, le attività degli organismi influenzano profondamente i flussi delle sostanze chimiche attraverso un ecosistema, favorendo un uso e riuso delle stesse molecole e degli stessi elementi attraverso l’intera rete trofica.

Schema che rappresenta i cicli biogeochimici di elementi come azoto, fosforo e carbonio che attraverso i flussi tra gli elementi biotici e abiotici dell’ecosistema ritornano disponibili nell’ambiente (aria, acqua e terra) affinché i cicli siano continui.

Schema che rappresenta i cicli biogeochimici di elementi come azoto, fosforo e carbonio che attraverso i flussi tra gli elementi biotici e abiotici dell’ecosistema ritornano disponibili nell’ambiente (aria, acqua e terra) affinché i cicli siano continui.

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Alcuni elementi chimici sono essenziali per gli ecosistemi, come l’azoto, il fosforo, il carbonio e molti altri. Il carbonio è un componente fondamentale di tutta la biomassa, e la disponibilità di azoto e fosforo è cruciale nella regolazione della produttività degli ecosistemi in gran parte della Terra. È il ciclo di questi elementi nutritivi attraverso e all'interno degli ecosistemi che determina la loro disponibilità biologica.

Schema della fotosintesi che ne illustra le due fasi che si svolgono all’interno dei cloroplasti nella cellula vegetale: la fase luminosa, in cui l’energia solare insieme ad acqua viene trasformata in energia chimica sotto forma di molecole di ATP e NADPH con rilascio di ossigeno nell’atmosfera, e fase oscura dove l’ATP e il NADPH con carbonio proveniente dall’anidride carbonica catturata dall’atmosfera verranno usati per produrre molecole organiche (zuccheri) utilizzate dai vegetali per la loro crescita e sopravvivenza.

Schema della fotosintesi che ne illustra le due fasi che si svolgono all’interno dei cloroplasti nella cellula vegetale: la fase luminosa, in cui l’energia solare insieme ad acqua viene trasformata in energia chimica sotto forma di molecole di ATP e NADPH con rilascio di ossigeno nell’atmosfera, e fase oscura dove l’ATP e il NADPH con carbonio proveniente dall’anidride carbonica catturata dall’atmosfera verranno usati per produrre molecole organiche (zuccheri) utilizzate dai vegetali per la loro crescita e sopravvivenza.

Il primo passo nel ciclo biologico del carbonio è l’utilizzo di un gas (l’anidride carbonica) da parte degli organismi autotrofi per sintetizzare composti organici. La fotosintesi è un processo a due stadi: nel primo, la cosiddetta fase luminosa, le reazioni trasformano l'energia luminosa in una forma temporanea di energia chimica, sotto forma di molecole come l’ATP: in questa fase della fotosintesi aerobica l’ossigeno diventa un prodotto di scarto, che esce dalle foglie.

Nella fase oscura le cellule vegetali utilizzano i prodotti delle reazioni precedenti per sintetizzare gli zuccheri, una forma più permanente di energia chimica che può essere immagazzinata, trasportata o metabolizzata, e quindi usata dai vegetali per la sintesi di altri composti organici indispensabili alla vita di piante, alghe, cianobatteri.

In presenza di luce, entrambi i gruppi di reazioni avvengono simultaneamente nei cloroplasti, organelli presenti in tutti gli organismi in grado di effettuare la fotosintesi. Gli zuccheri possono essere trasformati in materiali per “costruire” il corpo dei vegetali, come la cellulosa, oppure immagazzinati come riserve sotto forma di molecole più complesse, come l’amido.

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In base alle condizioni ambientali, la concentrazione di CO2 in atmosfera e la disponibilità di acqua, i vegetali terrestri hanno sviluppato tre tipi differenti di fotosintesi, che usano vie metaboliche diverse e vari enzimi, ma hanno soprattutto un’efficienza differenziata. In condizioni di umidità elevata, le piante utilizzano la cosiddetta fotosintesi C3

In climi caldi e secchi, con una bassa percentuale di CO2, è usata la cosiddetta fotosintesi C4, che è più efficiente della precedente. La fotosintesi denominata CAM è presente in piante succulente che crescono in ambienti aridi e semiaridi, e nelle epifite che crescono nelle foreste tropicali.

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Altri elementi, come azoto e fosforo, circolano negli ecosistemi e tra gli ecosistemi, con percorsi spesso convoluti e difficili da ricostruire. L’azoto, in particolare, è un importantissimo fattore che limita la produttività di molti ecosistemi sia terrestri sia marini e della maggior parte degli ecosistemi agricoli e forestali. 

A differenza del carbonio, quasi tutto l'azoto rilevante per la biogeochimica si trova in un unico “serbatoio” (l'atmosfera) con quantità relativamente piccole negli oceani, nelle rocce e nei sedimenti.

Come l'azoto, il fosforo è un nutriente essenziale che spesso scarseggia, e limita per esempio la produttività delle acque dei laghi di alta quota. I sedimenti marini e di acqua dolce e i suoli terrestri rappresentano la maggior parte del fosforo sulla superficie terrestre. La maggior parte del fosforo organico si trova nella biomassa vegetale o microbica, e il riciclaggio di quella materia organica quando muore è la principale fonte di fosforo disponibile per gli organismi.

Come gli organismi si adattano all’ambiente

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Il passaggio della materia organica e degli elementi dal primo passo ai successivi avviene con molte differenti modalità, con una corsa continua a difendersi da chi ci vuole mangiare o a superare le difese degli organismi di cui ci si nutre. Le principali classi di organismi possono essere classificate in tre grandi categorie: erbivori, organismi che si nutrono di piante; carnivori, organismi che si nutrono principalmente di animali; e detritivori, organismi che si nutrono di materia organica non vivente, solitamente resti di piante e animali.

Sebbene queste categorie non catturino tutta la diversità trofica in natura, non sono arbitrarie. Erbivori, carnivori e detritivori si sono evoluti per vivere di fonti di energia e nutrienti fondamentalmente diverse. Nonostante l’ampia disponibilità, in molti ambienti terrestri, di fonti alimentari vegetali, gli erbivori devono superare le difese fisiche e chimiche delle piante. Alcune difese fisiche sono evidenti, come le spine che scoraggiano alcuni erbivori e rallentano la velocità di alimentazione di altri. Le piante spesso dispiegano anche una varietà di difese fisiche più sottili. Le erbe incorporano grandi quantità di silice abrasiva nei loro tessuti, il che rende difficile nutrirsene. 

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Molte piante induriscono i loro tessuti con grandi quantità di cellulosa e lignina, producendo foglie fibrose e difficili da masticare. Inoltre, la maggior parte degli animali non può digerire né la cellulosa né la lignina. Quelli che possono, lo fanno con l'aiuto di batteri, funghi o protisti che vivono nel loro apparato digerente. Ciò suggerisce che la cellulosa e la lignina nelle piante possono essere una prima linea di difesa chimica contro gli erbivori, una difesa che la maggior parte degli erbivori supera con l'aiuto di altri organismi. Non solo competizione e predazione dunque, ma anche cooperazione fra specie diverse per ottenere il risultato desiderato.

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Maria | Diritti riservati | Adobe Stock

I carnivori devono superare altri ostacoli, perché le loro prede sono spesso dotate di caratteristiche e comportamenti che li rendono poco visibili o ne ostacolano o rallentano la cattura. Spine, corazze, veleni, insieme a varie declinazioni delle modifiche del corpo, dal criptismo all’aposematismo a vari tipi di mimetismo (batesiano, mulleriano eccetera) ostacolano i predatori e rendono difficoltosa la cattura delle prede.

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I detritivori e i decompositori si nutrono invece di materiale di origine vegetale e animale rilasciato nell’ambiente Queste risorse sono in alcuni ambienti molto abbondanti, ma povere di nutrienti importanti come fosforo e azoto. I detritivori riciclano la sostanza organica morta, mettendo a disposizione dell’ecosistema i nutrienti presenti nel detrito. 

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Costituiscono in effetti quella che viene definita “catena o rete del detrito”, in contrapposizione alla materia ed energia che passa attraverso gli organismi viventi, definita “catena del pascolo”. Tutte insieme, queste catene si uniscono e completano per formare la grande rete di interazioni fra organismi e ambiente che definisce l’ecosistema.