Tundra:
il giardino dell'artico
Le isole Svalbard sono uno dei luoghi più remoti del pianeta, tra i 74 e gli 82 gradi di latitudine nord e sono distanti quasi 1000 km dal punto più a nord della Scandinavia e circa 1300 km dal Polo Nord.
Da ottobre a marzo il sole resta sotto l’orizzonte e la luce scompare totalmente da fine novembre a inizio febbraio. La neve ricopre tutto il terreno da ottobre a giugno, e le temperature estive medie sono di pochi gradi sopra lo zero anche se in questi ultimi anni si stanno innalzando rapidamente.
La tundra si estende dal livello del mare, appena sopra il limite della battigia, fino ai piedi dei ghiacciai, e cresce su un suolo che resta povero di nutrienti.
Paesaggio di Kongsfjorden
La tundra si estende dal livello del mare, appena sopra il limite della battigia, fino ai piedi dei ghiacciai, e cresce su un suolo che resta povero di nutrienti.
Anche in queste condizioni estreme la tundra brulica di vita, in particolare nel breve periodo estivo. A queste latitudini la vegetazione è prostrata a terra e non crescono cespugli: questo portamento permette alla vegetazione di proteggersi sotto la neve, dove in inverno la temperatura è più alta di quella dell'aria.
Alle Svalbard si trovano diversi tipi di tundra: dai “deserti polari” in zone asciutte e battute dal vento, alle aree di recente deglaciazione, dove si insediano piante pioniere, fino alla tundra umida dominata dai muschi e dagli eriofori.
Nella tundra mesica, (a contenuto di umidità moderata) piante vascolari dai fiori minuti ma bellissimi si alternano a muschi, funghi, licheni. In funzione di variazioni locali delle condizioni climatiche e ambientali, una specie può diventare dominante sulle altre.
La vegetazione della tundra riesce a compiere la fotosintesi, sottraendo CO2 dall’atmosfera e formando così un serbatoio di carbonio. Così facendo nutre inoltre il suolo di humus generato dai residui della biomassa senescente, e sostiene la comunità animale.
La tundra trova condizioni climatiche più favorevoli sulla costa ovest delle Svalbard, lambita dalle ultime propaggini della Corrente Nord Atlantica. Gli ecosistemi terrestri delle Svalbard si sono ripopolati alla fine dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, quando parte della superficie è tornata ad essere libera dal ghiaccio.
Le analisi genetiche mostrano che le specie vegetali delle Svalbard provengono dalla Groenlandia, dall’America e dalla Russia. Sebbene il loro insediamento sia recente, si sono formati alcuni endemismi.
Mappa della distribuzione della tundra sulle aree dell’ecosistema artico. Andando dal polo verso sud si incontrano: aree occupate dai ghiacci e dal deserto artico; la tundra di pianura che ricopre un piccola porzione delle aree più a nord del Canada e della Russia: la tundra montana distribuita in piccole aree per lo più a nord della Russia e dell’Alaska. Sulle vaste aree rimanenti si estende per buona parte la foresta di taiga settentrionale mista a tundra.
Le varietà floristiche della tundra
Saxifraga cespitosa, Kongsfjorden (Svalbard). July 2021
Silvia Giamberini | Diritti riservatiIn Artico vivono molte varietà di Saxifraga, un genere molto numeroso (conta circa 440 specie al mondo) che si è ben adattato ai climi freddi e con scarse precipitazioni, sviluppando foglie a forma di ago, pelose o succulente, in modo da ridurre l’evapotraspirazione dell’acqua.
Saxifraga oppositifolia
Silvia Giamberini | Diritti riservatiÈ un genere molto comune anche sulle Alpi. Il nome Saxifraga viene dal latino e vuol dire “che rompe la roccia”. Si potrebbe pensare che il nome derivi dalla capacità di vivere in montagna ma no, viene dal fatto che alcune specie di Saxifraga sono usate come cura contro i calcoli renali!
Dryas octopetala, Bayelva basin, Broegger peninsula, Svalbard, July 2019
Silvia Giamberini | Diritti riservatiLa Dryas octopetala vive in Artico e sulle Alpi. Cresce come un cespuglio prostrato in ambienti rocciosi di detriti consolidati ed è quindi una pianta “colonizzatrice” di nuovi ambienti, dove consolida il terreno con una fitta rete di radici.
I numerosi ritrovamenti dei pollini di Dryas nelle carote di ghiaccio usate negli studi paleoclimatici hanno dato il nome ai periodi di ritorno a condizioni glaciali avvenuti tra 14.000 e 12.000 anni fa durante l’ultima deglaciazione. Appartiene alla famiglia delle “rosacee” ma il fiore ha 8 petali (da cui il nome) invece che 5.
Salix polaris fiorita. Bayelva, Svalbard
Silvia Giamberini | Diritti riservatiSalix polaris è molto comune in tutta la tundra dell’Alto Artico e nelle zone più fredde delle montagne della fascia boreale. Pianta prostrata dalle foglie e fiori molto piccoli, questo arbusto nano ha trovato la sua strategia di sopravvivenza sviluppando rami che si estendono nella parte superficiale del suolo. La presenza dei pollini fossili nei reperti del Sud Europa conferma l’estensione temporale e areale delle glaciazioni.
I muschi, i licheni, la crosta
La maggior parte della tundra nell’alto Artico è costituita da erbe perenni, piccoli arbusti, licheni, muschi e croste biologiche (biocroste).
Suolo poligonale nella tundra, Kongsfjorden Svalbard. Luglio 2021.
Licheni, tundra norvegese
I licheni sono formati da una associazione simbiotica di uno o più organismi autotrofi (alghe e/o cianobatteri) e un fungo, associazione che aumenta tantissimo le possibilità di sopravvivenza, permettendone la crescita anche in condizioni estreme, dove il suolo è molto scarso o addirittura assente.
I licheni in Artico colonizzano le rocce delle morene glaciali e sono quindi “specie pioniere”, assieme alle biocroste.
Biocroste ben sviluppate principalmente costituite da cianobatteri. Tarfala (Svezia). Riferimento 10 cm
La “biocrosta” (letteralmente: crosta biologica del suolo) è considerata il maggior produttore primario e fissatore dell’azoto dei deserti polari dell’Artico e dell’Antartide. È costituita da una varietà di organismi altamente specializzati autotrofi, eterotrofi e saprotrofi che formano un vero e proprio ecosistema microscopico con una propria catena trofica e una biodiversità elevata.
Profilo di suolo sviluppato sotto la copertura di biocroste. Ny-Alesund (Svalbard)
La biocrosta è un’intima associazione tra le particelle minerali del suolo, cianobatteri, alghe, microfunghi, licheni e briofite in differenti proporzioni a seconda di uno specifico habitat e soprattutto alle diverse condizioni edafiche che ne promuovono lo sviluppo e la distribuzione.
Le croste biologiche del suolo svolgono importanti ruoli ecologici, come la fissazione del carbonio e dell'azoto, la stabilizzazione del suolo, alterano l’albedo e l’umidità del suolo ed influenzano la germinazione ed i livelli di nutrienti nelle piante vascolari.
Chi vive nella tundra?
Colonia di Uria
Andrea De Zan | Diritti riservatiNel corso della sua breve estate, l’Alto Artico si popola di una incredibile varietà di uccelli migratori che scelgono questi luoghi remoti per riprodursi e poi tornare a svernare lungo le coste del Nord Europa o addirittura, come la sterna artica, per viaggiare fino all’Antartide!
Sterna artica (Sterna Paradisea)
Sterna artica a Ny Ålesund, Svalbard. July 2021.
Silvia Giamberini | Diritti riservatiLa maggior parte degli uccelli artici sono marini o costieri, sono predatori e si nutrono di pesce o invertebrati (sterne, gabbiani, pulcinelle di mare); molti amano le aree umide, come vari specie di anatidi, oche e uccelli limicoli.
Riesci a individuare il piovanello violetto? Ny Ålesund (Svalbard). July 2021
Silvia Giamberini | Diritti riservatiGli uccelli adottano varie strategie contro i predatori come la volpe: una è il mimetismo, come nel caso del piovanello violetto (Calidris maritima).
Oche facciabianca che si muovono in gruppo per proteggere i pulcini
Silvia Giamberini | Diritti riservatiUn’altra strategia è la nidificazione in luoghi isolati o la vita in comunità in cui i pulcini sono protetti dalla collettività, come nel caso dell’oca facciabianca.
Molti di questi uccelli formano coppie fisse ed entrambi si occupano della covata: lo sforzo riproduttivo è troppo grande e richiede la massima attenzione di entrambi i genitori, proprio come per noi umani!
Svalbard
Luigi Mazari Villanova | Diritti riservatiMa la tundra è popolata anche da animali stanziali. Tra gli uccelli, la bellissima pernice bianca; e poi le volpi e le renne.
Gli animali stanziali hanno sviluppato strategie di adattamento all’inverno: cambio della livrea (bianca e fitta in inverno, bruna in estate), forma del corpo più tozza, e persino piume sulle zampe per la pernice!
La renna delle Svalbard ha il corpo più tozzo e le zampe più corte per disperdere meno il calore.
Da sinistra verso destra: pernice bianca, volpe artica, renna delle Svalbard in livrea estiva
Volpe artica in livrea estiva
Alex254/Wirestock Creators | Diritti riservati | Adobe StockLa volpe si crea delle riserve alimentari per l’inverno nascondendo uova e prede nel suolo gelato per poi disseppellirli da sotto la neve.
Ma la volpe, come tutti i predatori, svolge un ruolo essenziale nel mantenimento della biodiversità: se non ci fosse, la popolazione di alcune specie crescerebbe troppo a scapito di altre, creando uno squilibrio nell’ecosistema.
L’orso polare vive in queste zone ma attraversa la tundra solo per spostarsi: è infatti un animale che caccia sul ghiaccio marino, nutrendosi principalmente di foche. A causa dei cambiamenti climatici sta però cambiando le sue abitudini alimentari: quest’estate sono stati visti orsi predare le renne, un comportamento che in passato era ritenuto del tutto anomalo.
Nutrienti e fertilizzazione
Gli animali che vivono nella tundra la fertilizzano attraverso le feci e le urine, e gli erbivori (ad esempio la renna e l’oca facciabianca) influenzano la composizione della vegetazione con le loro preferenze alimentari.
In questo ambiente povero di azoto e fosforo non è raro vedere ampie zone verdeggianti, perché fertilizzate, sotto le scogliere dove nidificano gli uccelli, o vicino agli stagni, o addirittura nei dintorni di una carcassa animale!
La misura degli scambi di anidride carbonica alle Svalbard
Marta Magnani (Consiglio Nazionale delle Ricerche) racconta che il gruppo di ricerca CNR svolge periodicamente misure in campo nei pressi della stazione artica sita alle Isole Svalbard. Qui sono misurati gli scambi di anidride carbonica e alcuni fattori ecologici, climatici e ambientali utili per costruire modelli numerici finalizzati a comprendere come la tundra possa rispondere al cambiamento climatico, di cui purtroppo stiamo già osservando gli effetti.
Il ciclo della CO2 nella vegetazione
La vegetazione della tundra svolge un importante ruolo di produttore primario, utilizza cioè la CO2 e trasforma attraverso la fotosintesi l’energia solare in energia chimica, il motore della vita sul nostro Pianeta attraverso la catena alimentare. Vediamo come questo avviene.
Quando la vegetazione diventa senescente e le foglie, i fiori e i frutti cadono a terra, le sostanze organiche di cui è composta vengono consumate da organismi demolitori (funghi, batteri) e in parte vanno ad arricchire il suolo. Così facendo il ciclo vitale della vegetazione alimenta lo stoccaggio del carbonio organico nel suolo.
Schema dei flussi di CO2
Le piante e i microrganismi che vivono nel suolo respirano per ottenere l’energia necessaria a svolgere le loro funzioni vitali, e quindi a loro volta emettono CO2. Se al completamento del ciclo vitale della vegetazione una parte del carbonio va a formare nuovo suolo, si dice che quell’ecosistema è un “immagazzinatore” (sink, in inglese) di CO2.
Se invece annualmente la quantità di CO2 immessa in atmosfera dalla respirazione è maggiore di quella immagazzinata, allora l’ecosistema è una “sorgente” (source) di CO2.
Chiaramente, un suolo che è una “sorgente” di CO2 si impoverisce del suo stock di carbonio e può arrivare a desertificarsi.
Il suolo artico e la misurazione degli scambi di CO2
Ilaria Baneschi (Consiglio Nazionale delle Ricerche) parla del suolo, supporto fondamentale per la vita di tutti gli ecosistemi terrestri e di noi stessi.
Riferisce in particolare di suoli artici, importanti perché molto sensibili ai cambiamenti ambientali legati al riscaldamento globale.
Racconta che una delle principali caratteristiche dei suoli artici è la presenza di permafrost nel sottosuolo e spiega come lo strato di suolo che è sopra il permafrost, detto lo “strato attivo”, dove avvengono i processi biogeochimici che regolano gli ecosistemi, venga campionato alle Svalbard vicino a Ny-Ålesund.
Source o sink?
Come si comporta la tundra? Dalla fine dell’ultima glaciazione la tundra si è comportata come un debole “sink” (immagazzinatore) di CO2. Lentamente, ma inesorabilmente, ogni anno il suolo sottostante si è arricchito di sostanze organiche.
Gli aumenti della temperatura e quelli della concentrazione di CO2 nell’atmosfera conducono a cambiamenti sensibili negli ecosistemi. L’aumento della CO2 favorisce la crescita della biomassa delle piante; la stagione vegetativa tende ad allungarsi, determinando l’espansione dell’areale delle specie a maggiore biomassa come ad esempio le piante arbustive. Tutto ciò contribuisce ad un maggiore assorbimento e immagazzinamento della CO2.
Kongsfjorden (Svalbard). Luglio 2019
Silvia Giamberini | Diritti riservatiAllo stesso tempo, però, l’aumento della temperatura conduce ad un aumento dello spessore dello “strato attivo” in estate, cioè di quella parte di suolo sovrastante il permafrost, che si scongela d’estate - inizio autunno per ricongelare da ottobre a giugno circa e quindi ad un incremento dell’attività dei batteri decompositori.
La conseguente intensificazione della respirazione microbica trasforma la tundra, che da “sink” potrebbe diventare sorgente di CO2, alimentando ulteriormente l’effetto serra e il riscaldamento globale.
La base di ricerca di Ny Alesund, con primo piano di tundra
Silvia Giamberini | Diritti riservatiÈ importante capire se la tundra potrà continuare ad essere un immagazzinatore di CO2 o se, invece, ne diventerà una sorgente. Diversi ricercatori in tutto l’Artico stanno compiendo misure dei flussi di CO2 dalla tundra, incluso un gruppo di ricercatori italiani proprio alla base artica del CNR alle Isole Svalbard.
Tundra artica: assorbitore o emettitore
Marta Magnani (Consiglio Nazionale delle Ricerche) discute di come non sia ancora chiaro se la tundra artica (che oggi è un debole assorbitore di anidride carbonica) diventerà un assorbitore o un emettitore di anidride carbonica nel prossimo futuro, a causa dell’aumento delle temperature. Il primo passo per rispondere a questa domanda è identificare quali siano i fattori che influenzano lo scambio di carbonio tra suolo, vegetazione e atmosfera. Questi fattori vengono definiti “driver” perché guidano l’emissione e l’assorbimento di anidride carbonica. I driver possono essere studiati sia tramite misure di campo, sia con l'aiuto di modelli basati su equazioni matematiche. I modelli matematici mirano a riprodurre il funzionamento degli ecosistemi o di alcune loro componenti, al fine di comprendere i processi che guidano la loro dinamica e di prevedere la loro evoluzione futura.
Due ricercatrici misurano i flussi di CO2 dalla tundra artica vicino alla stazione di ricerca di Ny Ålesund, Svalbard (NO)
Una camera trasparente viene appoggiata sul suolo e l’aria intrappolata al suo interno si impoverisce di CO2 a causa della fotosintesi. Un laser collegato alla camera misura la variazione di concentrazione di CO2 nel tempo, permettendo il calcolo dello “scambio netto” di CO2 tra suolo, vegetazione e aria.
Primo piano della camera trasparente utilizzata per misurare lo scambio di CO2
Coprendo la camera con un rivestimento scuro, si simulano le condizioni notturne e si inibisce la fotosintesi. Viene così misurato l’aumento di concentrazione nella camera dovuto alla sola respirazione della vegetazione e del suolo. Per differenza con lo scambio netto si ottiene la produzione primaria lorda, cioè il flusso di CO2 che la vegetazione utilizza per la fotosintesi.
Come avviene la misura
Angelica Parisi (Consiglio Nazionale delle Ricerche) mostra la strumentazione che viene usata per misurare i flussi di anidride carbonica negli ecosistemi terrestri e in particolare nella tundra artica e nelle praterie alpine e spiega come viene effettuata la misura.
Racconta che oltre a questi strumenti vengono usate sonde per misurare la temperatura e l’umidità del suolo e una stazione meteo per registrare i parametri meteoclimatici quali temperatura dell’aria, umidità dell’aria e radiazione solare.
Stazione micrometeorologica di misura dei flussi di CO2 tra suolo e atmosfera
Un’altra tecnica per misurare gli scambi di CO2 e’ basata sul metodo dell’Eddy Covariance. Combinando misure di variazione della concentrazione di CO2 in atmosfera e misure della componente verticale del vento, si ricava il valore del flusso di CO2 lungo la componente verticale, che corrisponde al flusso medio tra suolo e atmosfera su un’area intercettata dallo strumento, che varia in funzione della velocità e direzione del vento.
Il metodo Eddy Covariance
Gianna Vivaldo (Consiglio Nazionale delle Ricerche) parla di Eddy Covariance, un metodo noto dagli anni ’50 per studiare gli scambi di energia e materia fra un ecosistema e l’atmosfera. Utilizzato inizialmente in campo agricolo, ora il suo uso è stato esteso a molteplici applicazioni in campo della micrometeorologia, per lo studio delle foreste, delle praterie e dei laghi.
Viene spiegato come la Eddy Covariance permetta di effettuare misure non solo quando il suolo è libero dalla neve ma anche d’inverno, quindi in presenza di neve, riuscendo ad avere dati ad alta risoluzione temporale e anche quando le condizioni climatiche non permetterebbero di mandare il personale a effettuare le misurazioni.
Cosa succederà con il cambiamento climatico?
Lovenbreen Glacier, Kongsfjorden (Svalbard). Luglio 2021
Silvia Giamberini | Diritti riservatiLe temperature in Artico stanno aumentando tre volte più velocemente che altrove. Oltre al pericolo che la tundra si trasformi in una immensa sorgente di CO2, altri cambiamenti più immediati minacciano il fragile equilibrio degli ecosistemi terrestri artici.
Specie invasive provenienti dalle regioni più calde, trasportate dagli uccelli migratori o dagli umani, potrebbero sopravvivere con l’aumento delle temperature.
L'anticipo della stagione vegetativa induce un peggioramento nella dieta degli uccelli migratori erbivori come le oche, che si nutrono di erba fresca all’inizio della stagione estiva.
La neve che fonde a causa degli inaspettati rialzi termici potrebbe poi congelare di nuovo, formando una barriera vetrosa che impedisce alle renne di raggiungere i licheni di cui si cibano in inverno;
Piovanello violetto
Silvia Giamberini | Diritti riservatiinfine l’aumento del livello del mare determina di fatto la scomparsa dell’ambiente intertidale, che è uno dei luoghi di nidificazione gli uccelli migratori.
Panorama bacino Bayelva, Ny Alesund
Silvia Giamberini | Diritti riservatiStudi accurati sono necessari per comprendere l’importanza e la fragilità di questo splendido ecosistema, il suo ruolo nella regolazione del clima e della biodiversità e la necessità di frenare il cambiamento climatico per non perdere la sua immensa ricchezza.