Eco system, virtual museum

In volo sull’Artico

Gli abitanti alati di uno degli ambienti più estremi del nostro pianeta

Kongsfjorden, Svalbard (NO)

Kongsfjorden, Svalbard (NO)

Silvia Giamberini | Diritti riservati

L’Artico è una delle regioni più affascinanti della Terra. Qui tutto è estremo: le temperature dell’aria e dell’acqua, il vento, le stagioni, le scogliere... In un tale contesto si è portati a pensare di trovare un ambiente quasi senza vita, una sorta di “deserto biologico”.

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Al contrario, sono molti gli animali che vivono in Artico o che vanno in Artico per riprodursi: la breve ma intensa estate, con lunghe ore di luce e una quantità pressoché infinita di acqua derivante dallo scongelamento di ghiacci e neve, porta ad una rapida attività vegetale, e gli insetti, il cui sviluppo è favorito dalla luce e dalla formazione di acquitrini sul terreno, sono numerosi.

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Le fredde acque dei mari polari, inoltre, sono considerate tra le più produttive al mondo. Tutte queste risorse trofiche favoriscono la presenza di una grande quantità di animali, che popolano queste terre soprattutto d’estate.

Rolf Stange | Diritti riservati

Gli uccelli sono tra gli animali più abili a sfruttare queste condizioni, grazie alla facilità con cui riescono a spostarsi verso i luoghi con le condizioni migliori per soddisfare le proprie necessità.

Colonia di uccelli, artico

Colonia di uccelli, artico

Andrea De Zan | Diritti riservati

L’Artico è abitato letteralmente da centinaia di milioni di uccelli, la maggior parte dei quali vi soggiorna solamente in estate. 

Solo nelle Isole Svalbard sono state censite un minimo di 1536 colonie riproduttive appartenenti a 18 specie di uccelli marini. Ciascuna colonia può essere composta da diverse centinaia di esemplari, per un totale stimato di 2,8 – 3,1 milioni di coppie, senza contare quindi i loro pulcini e i non riproduttori.
E stiamo parlando solamente degli uccelli marini!

Moretta arlecchino

Moretta arlecchino

Andrea De Zan | Diritti riservati

Gli uccelli marini, però, non sono gli unici assidui frequentatori delle Svalbard durante la vivace stagione estiva. Diverse specie migratrici raggiungono l’arcipelago per nidificare nella tundra, come vari uccelli acquatici, in particolare anatidi, come le oche, e limicoli, che sfruttano anche le zone umide interne. 

Meno comuni sono gli uccelli terrestri e senza dubbio i più noti sono la Pernice bianca e lo Zigolo delle nevi. Il primo è l’unico uccello terrestre che risiede tutto l’anno alle Svalbard, mentre il secondo è l’unico passeriforme che qui si può ritrovare.

In viaggio per la vita: la migrazione

Oche facciabianca in migrazione 

Oche facciabianca in migrazione 

sandrastandbridge | Diritti riservati | POND5

L’inverno alle Svalbard è duro, con temperature che toccano i -20 °C e scarse risorse alimentari; al tempo stesso l’estate, sebbene breve, presenta un importante picco in termini di quantità e qualità di risorse.
Come sfruttare la ricchezza estiva sfuggendo alla rigidità dell’inverno artico? Grazie al miracolo della migrazione!

Nell’emisfero settentrionale gli uccelli migratori volano per centinaia o migliaia di chilometri.
Volano principalmente da sud a nord nella stagione estiva, per trovare le condizioni ambientali e gli habitat migliori per riprodursi e allevare la loro prole.
Si spostano invece da nord a sud per svernare in un clima più favorevole con una maggiore disponibilità di risorse alimentari.

Migratori da record

Voltapietre

Voltapietre

Andrea De Zan | Diritti riservati

Poco più grande di un pettirosso, il voltapietre (Arenaria interpres) compie una lunga migrazione.
Dai suoi quartieri di svernamento lungo le coste dell’Africa occidentale vola fino ai siti di nidificazione alle più elevate latitudini Europee dall’Islanda alla Norvegia, spingendosi fino alle Svalbard.

Per compiere questa lunga rotta migratoria il voltapietre è in grado di adattarsi a svariate condizioni climatiche, dalle rigide temperature artiche, sebbene estive, ai caldi climi tropicali.

Sterna artica

Sterna artica

Andrea De Zan | Diritti riservati

Ma la storia più straordinaria è quella della sterna artica (Sterna paradisaea) che detiene il record mondiale per il viaggio migratorio più lungo.

Percorre anche più di 70.000 km dalle aree di svernamento situate lungo le coste antartiche, raggiungendo ogni anno i suoi quartieri riproduttivi alle latitudini artiche.

Le sterne artiche che migrano dalle Svalbard compiono due distinte lunghe rotte migratorie seguendo la costa occidentale dell'Africa o la costa orientale del Sud America, attraversando così tutte le fasce climatiche del globo.

Traccia migratoria delle sterne, con dati ottenuti dai geolocator. A sinistra il percorso dall’Artico alle coste antartiche; a destra il percorso di ritorno verso l’Artico; le aree in bianco sono le zone di sosta.

Traccia migratoria delle sterne, con dati ottenuti dai geolocator. A sinistra il percorso dall’Artico alle coste antartiche; a destra il percorso di ritorno verso l’Artico; le aree in bianco sono le zone di sosta.

Per effettuare la migrazione più lunga del mondo aviario, sfruttare al meglio le condizioni ambientali è fondamentale, soprattutto quando la via più breve non è la migliore. Le sterne artiche aggiustano, allungano, spesso arcuando, le loro rotte migratorie per beneficiare il più possibile del vento in coda. Questo comportamento permette agli individui di coprire lunghissime distanze in tempi decisamente brevi.

La mappa riporta la rotta migratoria della Sterna artica lungo l’Atlantico in relazione a due variabili misurate che sono la velocità del vento e il supporto del vento. La rotta segue perfettamente le aree con velocità del vento maggiore e ottenendo così il supporto maggiore.

La mappa riporta la rotta migratoria della Sterna artica lungo l’Atlantico in relazione a due variabili misurate che sono la velocità del vento e il supporto del vento. La rotta segue perfettamente le aree con velocità del vento maggiore e ottenendo così il supporto maggiore.

Alcuni studi hanno evidenziato come il percorso compiuto durante la migrazione primaverile, verso i quartieri riproduttivi, sia notevolmente diverso rispetto a quello della migrazione autunnale verso i siti di svernamento. La velocità di viaggio è anche molto diversa tra i due viaggi: è notevolmente superiore durante la primavera rispetto all’autunno. 

Sterna artica in caccia

Sterna artica in caccia

Silvia Giamberini | Diritti riservati

La magnifica capacità di volo delle sterne artiche si può notare anche quando cacciano, volando in modo leggiadro sopra il pelo dell’acqua e prelevando in maniera molto precisa i piccoli pesci più vicini alla superficie. La sterna artica è carnivora, nutrendosi di piccoli pesci e crostacei, ma talvolta si nutre anche di insetti, che insegue in volo un po’ come fanno le rondini.

La migrazione della sterna artica

Lo spettacolare viaggio della sterna artica, l’animale che compie la più lunga migrazione al mondo, dal Circolo Polare Artico al Circolo Polare Antartico. Un viaggio non diretto, che, tra andata e ritorno, è lungo più di due volte il giro della Terra!

Uccelli che non migrano

Pernice bianca delle Svalbard in livrea invernale

Pernice bianca delle Svalbard in livrea invernale

lillitve | Diritti riservati | POND5

La pernice bianca delle Svalbard (Lagopus muta hyperborea) è una delle numerose sottospecie di pernice bianca (Lagopus muta) ed è l’unico uccello terrestre che risiede nelle Svalbard tutto l’anno. 

Il piumaggio di questo simpatico pennuto, che muta con le stagioni, gli permette di mimetizzarsi perfettamente al suo ambiente. D’inverno sono completamente bianche, ad eccezione delle penne più esterne della coda nel maschio. 

Pernice bianca delle Svalbard in livrea estiva

Pernice bianca delle Svalbard in livrea estiva

toranote | Diritti riservati | Adobe Stock

Assumono invece un piumaggio marrone durante la primavera-estate quando la neve e il ghiaccio sono assenti.
Le zampe sono ricoperte da piume che si infittiscono considerevolmente durante la stagione invernale, facendole assomigliare a ciaspole che aiutano gli individui a non affondare nella neve.

Maschio di Pernice bianca

Maschio di Pernice bianca

Rixie | Diritti riservati | Adobe Stock

Un altro adattamento di questa specie è la capacità di accumulare una grande quantità di grasso durante l’inverno. 

Recenti studi hanno osservato che, nonostante le pernici bianche diventino fino al 47% più pesanti durante l’inverno, il peso aggiuntivo non influisce sul dispendio energetico legato alla locomozione: si ipotizza che ciò sia dovuto alla camminata ondeggiante dell’uccello.

Individui di uria nera in livrea nuziale.

Individui di uria nera in livrea nuziale.

Andreas Weith | CC BY-NC-SA 4.0 | Wikimedia Commons

L’uria nera (Cepphus grylle) è un magnifico uccello marino delle aree artiche e sub-artiche affacciate sull’oceano Atlantico. L’elegante livrea nuziale è completamente nera, a parte le tipiche ampie macchie bianche sulle ali, e contrasta fortemente con le brillanti zampe rosse. 

Uria nera in piumaggio invernale

Uria nera in piumaggio invernale

Erni | Diritti riservati | Adobe Stock

Il piumaggio invernale invece è definito “sale e pepe”, sebbene permanga la caratteristica macchia bianca sulla parte superiore dell’ala. 

Individuo con preda al nido nella scogliera di Diabasodden Svalbard

Individuo con preda al nido nella scogliera di Diabasodden Svalbard

Roger Eritja | Diritti riservati | Alamy Stock Photo

Le urie sono abili nuotatrici che raggiungono notevoli profondità (fino ai 50 metri) dove catturano pesci e crostacei. Le prede più piccole vengono ingerite ancora sott’acqua, mentre quelle più grandi vengono portate fino alle coste.

Chris | Diritti riservati | Adobe Stock

Alle Svalbard sono presenti più di 20.000 coppie nidificanti la maggior parte delle quali svernano nelle fredde acque attorno all’arcipelago, allontanandosi poco dalle coste.
Le urie nere nidificano in piccole colonie poco affollate nelle fessure rocciose di scogliere ripide e scoscese. Come molte specie delle aree artiche i loro piccoli devono crescere in fretta; i pulcini in poco più di un mese sono in grado di volare e diventano quindi indipendenti.

Riprodursi in artico: la nidificazione

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Le specie che nidificano alle Svalbard non sono molte, ma i numeri possono essere impressionanti, in particolar modo degli uccelli marini e delle oche.
I nidi vengono costruiti in ambienti piuttosto diversi, utilizzando ad esempio ripidi ghiaioni e scogliere scoscese, che permettono agli individui di sfuggire alla predazione delle volpi grazie alla posizione impervia; ma anche sulla roccia nuda, nella tipica vegetazione bassa e rada o anche su spiagge sabbiose.

Alle Svalbard troviamo sia specie che nidificano in colonie sia in modo solitario. Le colonie, sia le grandi e numerose che le piccole e con pochi individui, o costituite anche da specie diverse, forniscono numerosi benefici in particolar modo per quanto riguarda la difesa del nido.

Il gruppo rappresenta un fattore fondamentale per l’individuazione dei predatori e permette ai genitori di allontanarsi potendo contare sui “vicini”. Le specie che nidificano in solitario, invece, si affidano prevalentemente al mimetismo del nido, delle uova e dei piccoli e alla loro aggressività.

La vita di coppia

Il legame di coppia fra le sterne artiche viene stabilito scambiandosi un pesciolino.

Il legame di coppia fra le sterne artiche viene stabilito scambiandosi un pesciolino.

Gregory "Slobirdr" Smith | CC BY-SA 3.0 | Wikimedia Commons

Numerose specie che nidificano alle Svalbard sono monogame, ovverosia formano coppie stabili e durature, certe volte per un’unica estate, certe volte per l’intera loro vita, ritrovandosi ad ogni stagione.
Le coppie monogame condividono le responsabilità per tutto, dalla difesa del nido, all’incubazione ed all’alimentazione della nidiata.

La monogamia in un ambiente così rigido, sebbene ricco di risorse, ha molti benefici, permettendo in particolare a queste specie di sfruttare al meglio le risorse offerte e avere quindi un successo riproduttivo elevato. 

Nidificazione in scogliera: i pulcini dell’oca facciabianca

Pulcino di oca facciabianca (Branta leucopsis)

Pulcino di oca facciabianca (Branta leucopsis)

Nikolay | Diritti riservati | Adobe Stock

Le oche facciabianca costruiscono i loro nidi in alto, sulle pareti di ripide scogliere. Così facendo i nidi sono fuori dalla portata dei predatori, ma le praterie dove foraggiano sono distanti e soprattutto raggiungibili solo volando giù dalle scoscese pareti. Le oche non portano il cibo al nido, i loro pulcini quindi devono lanciarsi dal nido a pochissimo tempo dalla schiusa per poter seguire i genitori fino alle aree dove si nutrono. 

Devono per cui compiere un volo da considerevole altezza ancor prima di avere imparato a volare, ma grazie alla loro leggerezza ed alla perfetta distribuzione del peso durante la caduta riescono a ridurre incredibilmente la velocità durante il volo, riuscendo così ad arrivare ai piedi della scogliera.

La nidificazione delle pulcinelle di mare

Andrea De Zan | Diritti riservati

La pulcinella di mare (Fratercula arctica), è un caratteristico uccello marino artico che  normalmente nidifica sotto terra, all’interno di cunicoli profondi da 70 cm a più di un metro. Sfrutta vecchie tane di coniglio scava lui stesso i cunicoli con le zampe, ma non alle Svalbard. 

Al loro arrivo sull’arcipelago verso inizio maggio o poco più tardi, infatti, il suolo è ancora ghiacciato, quindi non consente di scavare gallerie.
Per questo motivo gli individui qui nidificanti si sono adattati e costruiscono il nido all’interno di cavità e fessure tra le rocce, costituendo grandi colonie su scogliere al sicuro da mammiferi predatori, in particolare le volpi.

La nidificazione dello zigolo delle nevi

Ricercatori raggiungono un nido di zigolo delle nevi tra le rocce di una scogliera, per inanellarne i pulli.

Ricercatori raggiungono un nido di zigolo delle nevi tra le rocce di una scogliera, per inanellarne i pulli.

Lo zigolo delle nevi (Plectrophenax nivalis) è l’unico passeriforme che nidifica alle Svalbard, in genere in aree e distese rocciose, spesso vicine a colonie di uccelli marini.
Data la scarsità di siti idonei sono noti per sfruttare anche i sottotetti delle costruzioni umane e le casette nido artificiali. Il nido viene costruito dalla femmina: negli ambienti naturali vengono sfruttati i buchi delle rocce o le fessure scelte fra le più nascoste, e quindi poco visibili dall’esterno.

Nido di zigolo delle nevi all’interno di una casetta nido artificiale.

Nido di zigolo delle nevi all’interno di una casetta nido artificiale.

Nidificare fra le rocce è piuttosto sicuro dai predatori, ma le rocce sono fredde: per questo le femmine raccolgono muschio, erba, peli e piume per creare uno spesso strato isolante fra le uova e il suolo. Nonostante ciò, la femmina deve costantemente covare le uova per tutto il periodo di incubazione, col maschio che le porta cibo ogni 15 minuti. 

Alle Svalbard, però, i siti di nidificazione sono pochi, per questo i maschi di zigolo delle nevi arrivano molto presto, quando il suolo è ancora coperto dalla neve, per potersi aggiudicare i siti migliori.

La nidificazione del piovanello violetto

Nido di piovanello violetto con uova nella tundra alle Svalbard

Nido di piovanello violetto con uova nella tundra alle Svalbard

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Il piovanello violetto (Calidris maritima) nidifica in coppie solitarie in aree di tundra asciutta. È il limicolo più abbondante alle Svalbard: alcuni studi stimano, durante il periodo riproduttivo, addirittura una coppia per chilometro quadrato!

Il nido viene costruito nel tappeto di muschio secco e licheni, costituendo una forma di coppa finemente foderata con foglie di salice e licheni. Le uova deposte hanno un colore incredibilmente simile agli elementi che formano il nido, con sui sono perfettamente mimetizzate.

Piovanello violetto in cova perfettamente mimetizzato con l’ambiente circostante

Piovanello violetto in cova perfettamente mimetizzato con l’ambiente circostante

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Anche gli adulti di Piovanello violetto fanno affidamento sul magnifico mimetismo del loro piumaggio quando covano, risultando quasi invisibili ad un occhio inesperto. Se un predatore, o un essere umano, si avvicina troppo al nido, il genitore in cova finge di essere ferito cercando di attirare il predatore così da allontanarlo dalle sue uova. Anche i piccoli, che sono nidifughi, cioè sono in grado di lasciare il nido poco dopo la schiusa, posseggono un piumaggio estremamente mimetico.

Il flusso di nutrienti

Alcune urie nidificanti in colonia. Le striature bianche sulla roccia altro non sono che il loro guano

Alcune urie nidificanti in colonia. Le striature bianche sulla roccia altro non sono che il loro guano

Ana Flašker | Diritti riservati | POND5

Alle Svalbard la vita nel mare e sulla terra sono strettamente connesse e gli uccelli marini hanno un ruolo cardine in questa connessione. In particolare, gli uccelli marini sono fondamentali nel ciclo dei nutrienti, creando dei veri e propri hot spot di nutrienti nelle aree circostanti le loro colonie. 

I numerosi volatili che si nutrono in mare, o meglio nelle zone pelagiche, rilasciano una grande quantità di guano sui siti riproduttivi della terraferma.
Questo guano agisce come un potente fertilizzante sugli ecosistemi terrestri e costieri.

Ai piedi delle scogliere di Stuphallet (Svalbard), abitate da pulcinelle di mare e da fulmari, la tundra è fertilizzata dal guano degli uccelli

Ai piedi delle scogliere di Stuphallet (Svalbard), abitate da pulcinelle di mare e da fulmari, la tundra è fertilizzata dal guano degli uccelli

Silvia Giamberini | Diritti riservati

I nutrienti favoriscono la produttività primaria e il loro effetto sugli ecosistemi terrestri è facilmente osservabile: le aree ai piedi delle colonie sono estremamente verdi e rigogliose, soprattutto rispetto alla natura brulla e rada che caratterizza le zone più distanti dalla colonia. Questi hot spot di nutrienti vengono ampiamente frequentati da diversi erbivori, come renne, oche e pernici delle nevi, che approfittano di questa abbondante produttività primaria. 

Gli effetti di questo input di nutrienti non si riflettono solo sugli ecosistemi terrestri ma anche sulle acque del vicino ecosistema costiero. Difatti, il deflusso ricco di nutrienti dalle colonie sulle coste raggiunge facilmente il mare sostenendo quindi anche la produttività primaria marina nelle vicine acque costiere.

Il gabbiano tridattilo

Maarten Loonen ci accompagna a visitare una scogliera nella Riserva naturale di Ossian Sars dove nidifica il gabbiano tridattilo. Seguiamolo e affacciamoci sul bordo per vedere gli uccelli, ma attenzione a non cadere!
Il video infatti è a 360°, possiamo decidere quale direzione osservare semplicemente trascinando il mouse.
Il rumoroso richiamo di questi gabbiani ha ispirato il loro nome inglese: “kittiwake”.

Lotta per la sopravvivenza: l’orso polare

Raid di un orso polare in una colonia di oche facciabianca

Raid di un orso polare in una colonia di oche facciabianca

Jouke Prop | Diritti riservati

Senza ombra di dubbio il re dell’artico è l’orso polare. Normalmente questi grandi predatori dipendono dalle banchise per cacciare le loro prede abituali: le foche. Purtroppo, però, recenti studi mostrano come le loro abitudini alimentari si stiano modificando a causa dei cambiamenti climatici, che incidono fortemente sulla presenza del ghiaccio marino.

2013_07_25_alkefjellet_6992-1

Ad esempio, negli ultimi decenni sono sempre più comuni le loro frequentazioni delle aree riproduttive di diversi uccelli, in particolar modo delle oche facciabianca. Qui sono in grado di compiere una vera e propria razzia di uova, altamente nutrienti, arrivando ad impattare fortemente il successo riproduttivo della colonia, poiché un solo orso può mangiare più di un migliaio di uova in un’unica volta.

Lotta per la sopravvivenza: la volpe artica

Volpe artica (Vulpes lagopus) che ha predato pulcini di oca facciabianca.

Volpe artica (Vulpes lagopus) che ha predato pulcini di oca facciabianca.

Finn Sletten | Diritti riservati

Alle Svalbard la volpe artica rappresenta un superpredatore con abitudini necrofaghepriva di nemici naturali o competitori. Durante il periodo estivo le volpi artiche sono strettamente associate con le scogliere su cui gli uccelli nidificano, in quanto forniscono loro abbondanti fonti di cibo, come uova, pulcini di oca e diversi uccelli marini. 

Volpe artica, Ny Ålesund, (Svalbard)

Volpe artica, Ny Ålesund, (Svalbard)

In particolare, sono note per attendere sulla riva ai piedi delle scogliere i pulcini di oca facciabianca che si gettano dai nidi, per poterne afferrare il più possibile, così da farne scorta per i periodi di scarsità.

Volpe artica che ha predato un uovo di edredone. 

Volpe artica che ha predato un uovo di edredone. 

Ellen Goff, Danita Delimont | Diritti riservati | Adobe Stock

Sebbene d’inverno dipendano molto dalle carcasse di renna e dalle pernici bianche, le volpi artiche durante l’estate raccolgono/catturano numerose uova e pulcini, li seppelliscono nel permafrost, che ne permette la conservazione, e li recuperano in inverno.

Lotta per la sopravvivenza: lo Stercorario maggiore

Silvia Giamberini | Diritti riservati

Lo stercorario maggiore possiede una notevole variabilità interindividuale per quanto riguarda le strategie di foraggiamento. In genere sono abili cleptoparassiti che rubano le prede ad altri uccelli attaccandoli prepotentemente in volo, oppure sono pescatori.
Durante il periodo riproduttivo, invece, predano altri uccelli anche di considerevoli dimensioni, come i gabbiani reali nordici.

Ovviamente, in questa strategia, fra le sue prede non si trovano solo adulti, ma anche uova e pulcini, prelevati dai nidi in seguito a violenti attacchi agli adulti per riuscire ad allontanarli.
Alle Svalbard gli stercorari maggiori sono dei veri e propri superpredatori i cui adulti non posseggono minacce.

Lotta per la sopravvivenza: il Gabbiano glauco

Gabbiano glauco che preda un pulcino di Uria di Brünich

Gabbiano glauco che preda un pulcino di Uria di Brünich

Andrles | Diritti riservati | Adobe Stock

I gabbiani glauchi sono i gabbiani più grandi presenti alle Svalbard. Sono in genere dei predatori generalisti che si nutrono di pesci, molluschi, crostacei, ma anche di altri uccelli marini, uova e pulcini. Sono facilmente in grado di catturare urie in volo e i loro pulcini quando si involano la prima volta.

I gabbiani glauchi che nidificano vicino alle scogliere nelle vicinanze di colonie di uccelli marini, e diventano particolarmente specializzati nel predarne le uova, i pulcini e gli adulti, facendo dei veri e propri raid al di sopra delle colonie. Sono inoltre noti per seguire le volpi, ma anche gli esseri umani che si avvicinano alle colonie, nella speranza che gli individui vengano disturbati lasciando incustoditi i loro nidi.

Un viaggio per la vita: l’incredibile migrazione degli uccelli artici

Gaia Bazzi (Centro Italiano Studi Ornitologici) racconta che la breve estate artica offre moltissime risorse alimentari, che all'arrivo della stagione fredda si esauriscono molto velocemente o diventano inaccessibili, per cui molti uccelli sono poi costretti a spostarsi per riuscire a sopravvivere.
Specifica che la storia evolutiva e le caratteristiche morfologiche, fisiologiche ed ecologiche di una specie determinano se questa debba migrare su lunghe distanze o rimanere nello stesso luogo. Cita l’esempio della sterna artica che compie una migrazione straordinaria in confronto alla pernice bianca, più pesante e con ali corte e tonde non adatte a voli di lunga durata, che la obbligano ad adattarsi alla lunga notte artica.
Riferisce che le minacce che incombono sugli uccelli artici sono molteplici: lo sfruttamento eccessivo degli stock ittici da parte dell'uomo, l’inquinamento e i cambiamenti climatici.
Pone l’attenzione sull’importanza delle politiche di conservazione messe in atto negli ultimi decenni in tutta Europa, che dovranno essere mantenute e implementate nei prossimi anni per fermare la perdita di biodiversità nell'Artico.

Cambiamenti climatici e conseguenze

Katharine Moore | Diritti riservati | Adobe Stock

I cambiamenti climatici che si stanno verificando sono molto più evidenti e forti alle latitudini artiche, e si rivelano non solo attraverso temperature sempre più alte, sia dell’aria che dell’acqua, ma anche attraverso il cambiamento dei pattern delle precipitazioni, il cambiamento delle comunità vegetazionali, l’aumento del livello del mare e la riduzione delle banchise.

In inverno accadono più frequentemente eventi piovosi, chiamati “rain on snow”, che hanno forti ripercussioni sulle specie erbivore, come la pernice delle nevi o la renna delle Svalbard: la pioggia caduta sulla neve, infatti, crea una rigida lastra di ghiaccio, impedendo così l’accesso alle poche, ma essenziali, risorse sottostanti la neve.

Rafal Nebelski | Diritti riservati | POND5

Gli uccelli che frequentano le Svalbard sono quasi tutti migratori che si fermano sull’arcipelago solo per la breve stagione estiva. I movimenti migratori delle specie sono guidati da segnali ambientali legati al clima, ma se questi cambiassero la fenologia della migrazione potrebbe a sua volta cambiare. 

Tony Skerl | Diritti riservati | Adobe Stock

Diversi studi hanno già osservato una modificazione delle rotte e dei tempi della migrazione.
I migratori a breve raggio, in particolare, stanno riducendo le distanze percorse fino a divenire, in certe popolazioni, completamente stanziali.

L’aumento delle temperature può anticipare l’inizio della stagione primaverile-estiva, influenzando negativamente le specie che migrano a queste latitudini per riprodursi. Nella riproduzione in Artico il tempismo è fondamentale data la breve finestra di disponibilità di risorse alimentari con le quali sostenere la propria prole: l’anticipo della stagione può significare per molte specie di perdere il picco di disponibilità delle risorse alimentari.

L’illustrazione mostra la rotta migratoria dell’oca facciabianca. L’aumento delle temperature, a seguito dei cambiamenti climatici, può anticipare l’inizio della stagione primaverile-estiva, alterando la fenologia della loro migrazione. La specie raggiungerà il sito di riproduzione in un momento diverso rispetto agli anni precedenti. Anche la riproduzione subirà dei cambiamenti temporali nelle sue fasi e quando nascerà la prole sarà ormai superato il picco di disponibilità della risorsa trofica aumentando la mortalità dei pulcini e diminuendo quindi il successo riproduttivo della specie.

L’illustrazione mostra la rotta migratoria dell’oca facciabianca. L’aumento delle temperature, a seguito dei cambiamenti climatici, può anticipare l’inizio della stagione primaverile-estiva, alterando la fenologia della loro migrazione. La specie raggiungerà il sito di riproduzione in un momento diverso rispetto agli anni precedenti. Anche la riproduzione subirà dei cambiamenti temporali nelle sue fasi e quando nascerà la prole sarà ormai superato il picco di disponibilità della risorsa trofica aumentando la mortalità dei pulcini e diminuendo quindi il successo riproduttivo della specie.

Recenti studi hanno osservato un arrivo anticipato nei quartieri di nidificazione per diverse specie, associato ad una riduzione del periodo riproduttivo. Questo porterà ad una maggiore competizione per le risorse e ad un effetto negativo sulle popolazioni nidificanti.

Sergio Pitamitz | Diritti riservati | Alamy Stock Photo

Il riscaldamento, inoltre, sta fortemente riducendo la presenza delle banchise, dalle quali dipendono numerose specie come alcuni alcidi e laridi. 

La gazza marina minore, ad esempio, è un predatore altamente specializzato, che si nutre quasi unicamente di copepodi, piccoli crostacei appartenenti allo zooplancton strettamente associati con la presenza delle banchise, e se la disponibilità a questa risorsa scompare, scompariranno anche le condizioni necessarie per la sopravvivenza di questa specie.

Questi sono solo alcuni dei possibili effetti dei cambiamenti climatici. Va detto che, sebbene si sia soliti pensare che si avranno unicamente effetti negativi sulle specie, non è sempre così: alcune specie potranno essere favorite, ad esempio vedendo il loro habitat ottimale espandersi; contemporaneamente altre invece ne soffriranno, a causa della riduzione della disponibilità di habitat idonei e/o risorse.

Le aree protette delle Svalbard

Segnale di avvertimento per la riserva ornitologica vicino a Ny-Ålesund, Svalbard (Norvegia)

Segnale di avvertimento per la riserva ornitologica vicino a Ny-Ålesund, Svalbard (Norvegia)

Arndt Sven-Erik | Diritti riservati | Alamy Stock Photo

L’arcipelago delle Svalbard, una volta terreno di caccia di “trapper” e balenieri, oggi ospita 29 aree protette che includono ben 16 riserve ornitologiche. Di queste, 10 sono all’interno di parchi nazionali e 5 sono anche siti Ramsar, ovvero protetti dalla “Convenzione Ramsar” (Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale), il primo trattato intergovernativo riguardante la conservazione e la gestione delle zone umide. Nelle 15 riserve ornitologiche, durante l’intero periodo riproduttivo (15 maggio - 15 agosto), è proibita ogni forma di traffico entro i 300 metri dalle coste delle isole, e l’accesso a piedi è consentito solo rimanendo sulle strade tracciate, così da non rischiare di calpestare i nidi delle specie che nidificano nella tundra.

Malgrado una breve stagione vegetativa, la vegetazione rada e le basse temperature, la vita estiva alle Svalbard è estremamente vivace. Le specie aviarie presenti non sono numerose ma gli individui indubbiamente sì, il che si riflette in un’intensa attività in mare, sulle scogliere e nella tundra, così che il silenzio che normalmente caratterizza l’arcipelago durante l’inverno si riempie con i canti degli uccelli.